martedì 24 febbraio 2015

Riflessioni tra ossessioni e paranoie

Questa sera sono soddisfatta, ho inventato una ricetta al volo, di quelle: ho tre carote e un porro e ci risolvo la cena... Poi sono soddisfatta perché ho letto metà di un libro che si chiama "Al sangue o ben cotto", un libro di stampo antropologico sui miti e i riti del cibo, un genere di letture che diventa sempre più interessante ai miei occhi, soprattutto quando sociologia e antropologia si intrecciano e danno un senso nuovo a usanze che sembrano diventate piatte. Per ultima cosa sono soddisfatta perché sto qui a scrivere questo post e a fare outing: da perfezionista precisina, prima della classe, ho l'ansia da post. Prima di buttarmi a scrivere vorrei avere una tesi di laurea tra le mani, che spieghi il perché e il per come del mondo, con tanto di bibliografia ragionata e indice analitico... Ma insomma, non siamo a Yale, io non sono un'accademica e i miei 4 lettori sono convinta avranno aspettative più basse. Poi questo non è il diario delle mie paranoie, quindi bando alle ciance.

Quello di cui vorrei parlare è più che un'idea, un abbozzo di idea, un'impressione, che però mi porto dietro da alcuni giorni e su cui ho avuto modo di tornare a riflettere. Tutto nasce dalla mia frequentazione, diciamo assidua, dei social network,  soprattutto Facebook, Instagram, You Tube. Seguo alcune personalità o personaggi, non saprei, più o meno noti del mondo del "food"(per dare un tocco glamour), e tutti più o meno, sponsorizzano qualcosa. Pagati per farlo, o solo molto riconoscenti per i "regali" che ricevono, fanno quello che ora va tanto di moda chiamare product placement: io tradurrei pubblicità, occulta o meno dipende dall'allenamento di chi guarda.

Partendo dal discorso della pubblicità, messa per benino un post sì e tre no, sono rimasta un po' sconvolta dallo scienziato belloccio di turno (che ora va molto in voga tra chi è alla continua ricerca di qualcuno che gli dica "come mangiare nel mondo giusto") che qualche giorno fa inserisce la foto di  un pasto a base di polpette di quinoa, congelate e imbustate da una nota ditta di surgelati italiana. Quello che mi ha fatto riflettere, oltre  al fatto che sempre e comunque ci si vende, perché come dicevano i latini "pecunia non olet", e quindi si diventa presto sponsor amichevoli e rassicuranti di un marchio, è soprattutto l'ossessione, quasi compulsiva, di chi commentava la foto, nel chiedere: cos'è? che marca è? dove si compra? dove posso trovarlo?

Un'ossessione senza pari per l'acquisto, che siano vestiti, trucchi, e ahimè, cibo. Bisogna comprare, comprare, comprare, provare "prodotti". E chiamare "prodotti" gli alimenti è una cosa che mi fa un po' rabbrividire, perché mi dà l'idea chiara di un mondo in cui tutto è compra-vendita.



Insomma, una riflessione da cui non mi tiro indietro, ma che mi è servita per guardarmi dal di fuori, quanto il marketing ci influenza? Quanto ci facciamo ingannare dalla bella faccia di chi si fa sponsor, a volte in "buona fede"? Quanto vogliamo solo COMPRARE, e allora un rossetto o una nuova busta di surgelati non fanno molta differenza?

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