Questa sera sono soddisfatta, ho inventato una ricetta al volo, di quelle: ho tre carote e un porro e ci risolvo la cena... Poi sono soddisfatta perché ho letto metà di un libro che si chiama "Al sangue o ben cotto", un libro di stampo antropologico sui miti e i riti del cibo, un genere di letture che diventa sempre più interessante ai miei occhi, soprattutto quando sociologia e antropologia si intrecciano e danno un senso nuovo a usanze che sembrano diventate piatte. Per ultima cosa sono soddisfatta perché sto qui a scrivere questo post e a fare outing: da perfezionista precisina, prima della classe, ho l'ansia da post. Prima di buttarmi a scrivere vorrei avere una tesi di laurea tra le mani, che spieghi il perché e il per come del mondo, con tanto di bibliografia ragionata e indice analitico... Ma insomma, non siamo a Yale, io non sono un'accademica e i miei 4 lettori sono convinta avranno aspettative più basse. Poi questo non è il diario delle mie paranoie, quindi bando alle ciance.
Quello di cui vorrei parlare è più che un'idea, un abbozzo di idea, un'impressione, che però mi porto dietro da alcuni giorni e su cui ho avuto modo di tornare a riflettere. Tutto nasce dalla mia frequentazione, diciamo assidua, dei social network, soprattutto Facebook, Instagram, You Tube. Seguo alcune personalità o personaggi, non saprei, più o meno noti del mondo del "food"(per dare un tocco glamour), e tutti più o meno, sponsorizzano qualcosa. Pagati per farlo, o solo molto riconoscenti per i "regali" che ricevono, fanno quello che ora va tanto di moda chiamare product placement: io tradurrei pubblicità, occulta o meno dipende dall'allenamento di chi guarda.
Partendo dal discorso della pubblicità, messa per benino un post sì e tre no, sono rimasta un po' sconvolta dallo scienziato belloccio di turno (che ora va molto in voga tra chi è alla continua ricerca di qualcuno che gli dica "come mangiare nel mondo giusto") che qualche giorno fa inserisce la foto di un pasto a base di polpette di quinoa, congelate e imbustate da una nota ditta di surgelati italiana. Quello che mi ha fatto riflettere, oltre al fatto che sempre e comunque ci si vende, perché come dicevano i latini "pecunia non olet", e quindi si diventa presto sponsor amichevoli e rassicuranti di un marchio, è soprattutto l'ossessione, quasi compulsiva, di chi commentava la foto, nel chiedere: cos'è? che marca è? dove si compra? dove posso trovarlo?
Un'ossessione senza pari per l'acquisto, che siano vestiti, trucchi, e ahimè, cibo. Bisogna comprare, comprare, comprare, provare "prodotti". E chiamare "prodotti" gli alimenti è una cosa che mi fa un po' rabbrividire, perché mi dà l'idea chiara di un mondo in cui tutto è compra-vendita.
Insomma, una riflessione da cui non mi tiro indietro, ma che mi è servita per guardarmi dal di fuori, quanto il marketing ci influenza? Quanto ci facciamo ingannare dalla bella faccia di chi si fa sponsor, a volte in "buona fede"? Quanto vogliamo solo COMPRARE, e allora un rossetto o una nuova busta di surgelati non fanno molta differenza?
martedì 24 febbraio 2015
martedì 17 febbraio 2015
Mangia cibo vero
Avrei voluto chiamare questo post “fai la spesa come se
fossi tua nonna”, poi ho pensato che mia nonna, che ha 90 anni suonati, mi
consiglia sempre di comprare le tagliatelle ai funghi surgelate dell’Eurospin,
che sono tanto buone! Allora forse non è il caso di prendere mia nonna ad
esempio, magari potrebbe andare meglio la sconosciuta bisnonna…
Ma perché parlo di fare la spesa come un’anziana signora
nata prima del 1930? Dicevo nello scorso post di come il cibo possa essere
considerato un atto politico: ognuno di noi si trova a fare la spesa almeno una
volta a settimana e, nella maggior parte dei casi, si rivolge per questo a un
supermercato. Bene, ognuno scegliendo cosa comprare determina il mercato, che
certo ci domina con tutte quelle strategie chiamate marketing, ma insomma se
ognuno di noi seguisse delle piccole linee guida per fare la spesa avverrebbe
una rivoluzione!
Per ora non mi addentrerò nelle complesse storie del da dove
vengono le banane o il caffè, e non farò quei discorsi un po’ spocchiosi del
tipo: “la Coca Cola no, la Nestlé no, la Unilever no”.
Torniamo alla nonna, o meglio alla bisnonna: Michael Pollan
nel suo libro In difesa del cibo (Adelphi)
dà alcuni semplici consigli su come scegliere cosa mettere nel carrello, se
proprio non potete fare a meno di fare la spesa al supermercato!
Non mangiate nulla che la vostra bisnonna non riconoscerebbe come cibo.
Pensiamo a tutti i prodotti stipati in un supermercato,
quanti tipi di biscotti, barrette, fiocchi, snack, sono riconducibili a un alimento
presente in natura? Di quanti sapremmo indicarne gli ingredienti base se
venissimo dal passato, o purtroppo anche se veniamo dal presente?
Da qui passerei a un’altra regola aurea:
Leggete sempre l’etichetta ed evitate quei cibi che hanno ingredienti
sconosciuti, o impronunciabili.
Cerchiamo di evitare quei prodotti che hanno più di cinque
ingredienti, che al primo posto hanno lo zucchero, o lo sciroppo di mais. Se
dobbiamo comprare un yogurt, perché scegliere quello con coloranti, additivi e
conservanti? Se vogliamo uno yogurt zuccherato o alla frutta, non possiamo
aggiungerla noi?
Evitate quei cibi che non vanno mai a male
Il cibo dovrebbe essere un organismo vivente e in quanto
tale deperibile. Non vi è mai capitato di lasciare per settimane una carota in
frigo e ritrovarla uguale a prima? Io ogni volta mi spavento tantissimo…
Evitate prodotti che “fanno bene alla salute”
Questo è marketing, meglio girare alla larga, molto spesso
ci troviamo di fronte a mode passeggere e paghiamo il prezzo della pubblicità,
altro che bifidus actiregularis…
Nel supermercato evitate la zona centrale e fate la spesa nelle corsie
periferiche
Perché è qui che si trova il cibo vero! Frutta, verdura,
carne, pesce, pane. Ma leggete sempre l’etichetta!!
A queste regolette di Pollan, vorrei aggiungere un monito
personale:
Le aziende non fanno il bene del consumatore, ma delle proprie tasche
Diffidiamo della sensazione di genuinità o di bontà che ci
ispira un certo marchio, controlliamo sempre cosa stiamo comprando.
Quindi per riassumere, anche in un supermercato, cerchiamo
di comprare CIBO VERO!
domenica 15 febbraio 2015
La vertigine della scelta
Ogni volta che entro in un grande supermercato sono colta da
un lieve senso di panico, vago disorientata tra file e file di scaffali, sono
nel tempio del cibo alla ricerca di qualcosa che risponda ai miei criteri di
commestibilità e fatico a trovarlo. Forse per qualcuno suona assurdo.
Siamo nell’era dell’abbondanza (almeno da questa piccola
parte di mondo in cui la parola carestia evoca scenari medievali e peste
bubbonica) e la paura della fame, che ha accompagnato l’uomo fin da quando era solo
un australopiteco, sembra vinta, o meglio temporaneamente azzittita, annidata
nelle pieghe del subconscio, pronta a prendere nuove forme. Il cibo oggi ha
perso la sua valenza fondamentale di nutrimento e mezzo di sopravvivenza,
diventando piacere, coccola, soddisfazione, gratificazione. La concezione di
consumo del cibo oggi è ampiamente svincolata da elementi come la provenienza, la
stagionalità, le precipitazioni, gli assalti delle cavallette, varie ed
eventuali. Siamo abituati a trovare di tutto al supermercato, ogni genere di
frutta e verdura in qualsiasi stagione, ogni sorta di cibo processato e
trasformato, prodotti di ogni colore e forma: siamo nel paese di Cuccagna e non
ce ne siamo accorti. Con un’economia che si gioca su scala globale dipendiamo
sempre meno dall’andamento dei raccolti, il nostro piatto non rimarrà vuoto per
un’annata troppo piovosa, cibi importati da tutto il mondo terranno lontano lo
spettro della fame.
Se il sogno dei nostri bisnonni di avere cibo in abbondanza
tutto l’anno si è avverato, si è aperto però il baratro della scelta. Il detto
“o mangi questa minestra o salti dalla finestra” non spaventa più nessuno,
perché la possibilità, o meglio “il diritto” alla scelta, è ormai insito in
ognuno di noi, consapevoli o inconsapevoli.
Ci troviamo di fronte a infinite opzioni e ogni giorno
facendo la spesa e mangiando scegliamo anche chi essere e come indirizzare il
mercato. Se da una parte mangiare oggi è diventata una questione più semplice,
perché alla portata di tutti e di tutte le tasche, dall’altra ha assunto significati
sempre più complessi e le trame che si intessono dietro a una banale banana
sono sempre più difficili da sondare. Nell’era globale il carrello che
riempiamo in Italia pesa sulle teste di gente che viene dal Perù, dall’India o
dalla Costa d’Avorio. Mangiare è diventato un atto che può essere visto come
culturale, etico, politico.
Siamo nell’era dell’autodeterminazione e della vertigine
della scelta.
mercoledì 11 febbraio 2015
Parliamo di cibo, ancora?
Bersagliati da ogni parte dal discorso sul cibo, ne siamo tutti un po' sopraffatti. Gastronomi, gastronauti, chef, gourmet, popolano i media. Forse potrebbe bastare così, o forse no?
Il cibo oggi ha assunto un significato più ampio di quello di mero nutrimento, è diventato un fatto etico, è stato investito di un valore culturale, conoscitivo. Si parla di cibo come cultura, si fanno viaggi gastronomici, guide ai ristoranti, ricettari di ogni sorta invadono gli scaffali, nascono addirittura librerie che vendono solo libri sul cibo.
E allora non è di ricette che voglio parlare, ma del valore sociale, antropologico e culturale di questo fenomeno, in cui volenti o nolenti siamo tutti implicati: quando postiamo foto di cibo su Instagram, quando scegliamo cosa comprare al supermercato, quando decidiamo di non mangiare più carne o di diventare fruttariani (si esistono i fruttariani!).
Programmaticamente allora questo dovrebbe essere un blog che parla di "cultura del cibo". Vediamo dove arriveremo.
Io sono Benedetta, letterata poco convinta, che si diletta a scrivere di cibo, e ha deciso pure di farci un mega master in un posto che si chiama Bra...
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