Ogni volta che entro in un grande supermercato sono colta da
un lieve senso di panico, vago disorientata tra file e file di scaffali, sono
nel tempio del cibo alla ricerca di qualcosa che risponda ai miei criteri di
commestibilità e fatico a trovarlo. Forse per qualcuno suona assurdo.
Siamo nell’era dell’abbondanza (almeno da questa piccola
parte di mondo in cui la parola carestia evoca scenari medievali e peste
bubbonica) e la paura della fame, che ha accompagnato l’uomo fin da quando era solo
un australopiteco, sembra vinta, o meglio temporaneamente azzittita, annidata
nelle pieghe del subconscio, pronta a prendere nuove forme. Il cibo oggi ha
perso la sua valenza fondamentale di nutrimento e mezzo di sopravvivenza,
diventando piacere, coccola, soddisfazione, gratificazione. La concezione di
consumo del cibo oggi è ampiamente svincolata da elementi come la provenienza, la
stagionalità, le precipitazioni, gli assalti delle cavallette, varie ed
eventuali. Siamo abituati a trovare di tutto al supermercato, ogni genere di
frutta e verdura in qualsiasi stagione, ogni sorta di cibo processato e
trasformato, prodotti di ogni colore e forma: siamo nel paese di Cuccagna e non
ce ne siamo accorti. Con un’economia che si gioca su scala globale dipendiamo
sempre meno dall’andamento dei raccolti, il nostro piatto non rimarrà vuoto per
un’annata troppo piovosa, cibi importati da tutto il mondo terranno lontano lo
spettro della fame.
Se il sogno dei nostri bisnonni di avere cibo in abbondanza
tutto l’anno si è avverato, si è aperto però il baratro della scelta. Il detto
“o mangi questa minestra o salti dalla finestra” non spaventa più nessuno,
perché la possibilità, o meglio “il diritto” alla scelta, è ormai insito in
ognuno di noi, consapevoli o inconsapevoli.
Ci troviamo di fronte a infinite opzioni e ogni giorno
facendo la spesa e mangiando scegliamo anche chi essere e come indirizzare il
mercato. Se da una parte mangiare oggi è diventata una questione più semplice,
perché alla portata di tutti e di tutte le tasche, dall’altra ha assunto significati
sempre più complessi e le trame che si intessono dietro a una banale banana
sono sempre più difficili da sondare. Nell’era globale il carrello che
riempiamo in Italia pesa sulle teste di gente che viene dal Perù, dall’India o
dalla Costa d’Avorio. Mangiare è diventato un atto che può essere visto come
culturale, etico, politico.
Siamo nell’era dell’autodeterminazione e della vertigine
della scelta.
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